mercoledì 27 dicembre 2017

Cosa desidero dal 2018 e quali buoni propositi ho (e non rispetterò)?

Io non ho mai creduto a Babbo Natale, nessuno mi ha mai preso per il culo travestendosi da Nonno rosso, con la barba finta e la panza, dandomi dei regali palesemente fatti dai parenti. Non ho mai scritto, per questo, una letterina a Babbo Natale, sperando e pregando che realizzasse i miei desideri, mia madre ha sempre saputo perfettamente cosa poteva farmi piacere e lo ha sempre messo sotto l'albero o lo ha fatto mettere dalle mie zie e dai miei parenti. Quindi non ho mai promesso alla stella cometa che sarei stata buona, per non avere il carbone nella calza della Befana

Tuttavia, ogni anno, a fine anno tiro le somme di quanto mi è accaduto, per dire se l'anno è stato buono o meno, se avrei potuto fare di più o meno, per sapere cosa sperare per l'anno a venire e per fare dei propositi (che puntualmente non rispetto).

Quest'anno avrei voluto mettermi a fare sport, o comunque pensare al mio fisico - e non l'ho fatto - quindi vorrei provarci per l'anno a venire, ora che la stabilità si è un po' fatta strada nella vita mia e del mio fidanzato. (Mi vedo già il 31 dicembre 2018, se sarò viva, con la schiena a pezzi a dire esattamente la stessa cosa mentre mi sfondo di pandoro con la crema).

Vorrei riuscire ad essere più tollerante col prossimo, meno nervosa, più "rilassata". Vorrei riuscire a sorridere anche nelle situazioni in cui solitamente perdo le staffe. 

Vorrei trovare un po' più di tempo per me stessa, per concedermi qualche piacere, o semplicemente per pensare a me, non prendendo ogni impegno come una costrizione, ma vivendolo con maggiore elasticità. Vorrei riuscire a viaggiare. Vedere posti nuovi, esplorare e conoscere il mondo. 

Vorrei imparare, acculturarmi, leggere ogni giorno il giornale o quanto meno sapere cosa accade nel mondo per essere al passo col mio coltissimo fidanzato. Vorrei, soprattutto, ricordarmi dove si trova Domodossola. Una malattia che mi ha contagiato la mia collega ed amica Ilaria. Lo impariamo, ma dopo un mese, puntualmente, dobbiamo andarcelo a cercare. Abbiamo capito però finalmente, che si trova al Nord.

Passando ai desideri, dico già da subito che mi limiterò a quello che ritengo realizzabile, perchè credo sia scontato desiderare una montagna di soldi, possibilmente una montagna di euro viola (da 500). Oppure un camper, oppure uno Yacht, oppure una casa sul mare, oppure una villa in Sardegna. O ancora il teletrasporto. Soprattutto il teletrasporto.

Limitandomi quindi a ciò che penso di poter veramente ottenere, dico che vorrei provare ad avere una casa un po' più grande, ma più che per la casa in se, semplicemente per metterci dentro un armadio enorme ed una scarpiera, così il mio fidanzato non potrebbe più lamentarsi delle mie scarpe ovunque. 

Vorrei che i mezzi pubblici funzionassero bene, evitando così di rischiare la vita ogni mattina. Si, lo so, avevo detto solo cose realizzabili, ma questo devo esprimerlo per forza visto che è una costante della mia vita e potrei anche non riconoscermi se non lo esprimessi o non mi lamentassi del fatto che non funziona niente.

Vorrei fare un bel viaggio, una bella vacanza, magari con tutto pagato... o quasi!

Ovviamente, vorrei una salute di ferro per me e per tutti i miei cari, animali compresi. E soprattutto voglio l'amore che già ho, e che spero continui ad essere così bello ed intenso.

Buon anno nuovo a tutti.

martedì 26 dicembre 2017

Il Natale Ritrovato

Quest'anno la febbre del Natale mi ha preso in maniera diversa, forse perchè non avevo l'ansia di partire (anche se avevo l'ansia di un arrivo, quello di mia madre). Quest'anno non ho fatto millemila regali con angoscia e fretta, sono uscita un pomeriggio e ho comprato tutto, con estrema calma, e sono riuscita anche a fare regali belli, a mio avviso.

Tra l'altro, ogni anno, il Natale veniva vissuto da me con estremo entusiasmo e dal mio fidanzato come una "commercialata" inventata per fare spendere soldi alla gente. Non voleva fare l'albero, non gliene fregava niente degli addobbi (mentre io adoro le lucine, i festoni, gli alberi e le piante rosse). Quest'anno invece è successo qualcosa di straordinario. Il mio fidanzato è stato improvvisamente contagiato dalla febbre del Natale e ha comprato un albero meraviglioso di 2,10 metri (ed a differenza di Spelacchio, questo è vivo e vegeto, anche perchè è di plastica e probabilmente resterà con noi per tanto, tantissimo tempo). Ha comprato anche un sacco di decorazioni splendide, addobbando tutto l'albero. E anche due alberelli piccoli. In pratica la nostra casa è diventata il Cocoricò di Riccione.

Ci sono luci dovunque, palle dovunque, festoni e decorazioni dovunque. E la cosa mi ha reso estremamente felice. Ma non credo lo abbia fatto solo per me, credo che la cosa abbia reso felice anche lui, inaspettatamente. Quindi questo Natale sarà un Natale diverso, un natale in cui entrambi abbiamo voglia di festeggiare, un Natale in cui siamo riusciti a mettere i nostri reciproci regali sotto l'albero senza darceli in anticipo senza un minimo di sorpresa (anche se uno gliel'ho già dato, ho dovuto, ne valeva della nostra salute. E' la Mokona Bialetti, come potevamo aspettare ad usarla?).

E poi è successa anche un'altra cosa, che per un momento mi ha fatto credere di aver perduto il Natale. Mi ha fatto pensare che non sarei potuta essere felice e che sarebbe stato un disastro. Quando siamo arrivati nel casale di campagna dove avremmo passato le feste, il nostro amato gatto non c'era. Non era mai successo che non lo trovassimo da quando - sei mesi fa - era arrivato da noi. La cosa peggiore è stata che non solo non c'era quando eravamo arrivati, ma che mancava da giovedì, quando il vicino - come di consueto - era venuto a dargli il mangiare. Non si è visto per tutto venerdì. Sabato mattina, dopo una notte quasi insonne, mi sono svegliata sperando di ritrovarlo fuori dalla porta. Invece non c'era, così mentre la speranza andava affievolendosi, ho dovuto fare la spesa e pensare a cosa mangiare. Perchè qui c'è mia madre, e mia madre, da quando mi ha detto che sarebbe venuta a trovarmi, non ha fatto altro che dirmi che dovevamo fare la spesa e cosa cucinare. Una volta arrivata invece non ha fatto altro che cucinare. Abbiamo avuto giusto un'ora di riposo durante il giorno, perchè la mattina si alzava e cucinava, e alle 16,30 scoccava l'ora e iniziava a preparare la cena. Dopo cena, si discuteva su cosa preparare l'indomani per pranzo.

Fatto sta che il sabato sera, mentre cenavamo, quando ormai ero diventata il Grinch, quando il mio ragazzo è andato fuori a tagliare il pane gli ho sentito chiamare il nome del Gatto. Ho pensato che lo stesse chiamando, nella speranza che lo sentisse e quello arrivasse, invece era già li. Questo è stato il più bel regalo che questo Natale potesse farmi. Era perduto ed invece è stato ritrovato, lui con il gatto, con la felicità.

La notte poi è andato di nuovo via, ma il 24 a pranzo, mentre tutti, i miei e i genitori del mio fidanzato in una prima ed unica occasione, iniziavamo i festeggiamenti del nostro natale è tornato. Ho capito che ha sicuramente una fidanzata, la sera si allontana, non senza rimorso, perchè ama moltissimo anche me, ma poi all'alba ritorna.

E così anche questo Natale se lo semo levato dai... no scherzo, questo Natale avrei voluto non finisse mai.




venerdì 15 dicembre 2017

Come (non) sono diventata un ingegnere

Difficilmente parlo di me, di fatti personali o di avventure fantastiche che risalgono alla mia vita precedente Roma. Ma ieri sera - davanti a due kg di sashimi - ho fatto una promessa ad una mia amica. Io avrei scritto questo post e lei ne avrebbe scritto uno su una sua fantastica - e assurda - avventura. Quindi mentre aspetto di leggere il suo, mi accingo a mantenere la mia parte di promessa. 

Come qualcuno di voi saprà, io stendo sempre un velo pietoso sulla mia carriera universitaria, sia perchè ci ho messo una vita, sia perchè ci ho rimesso la salute. Non tornerei a studiare neanche se per farlo mi pagassero e - davvero - ho una stima profonda di coloro che riescono a studiare e a cui piace farlo. Io non sono così, ho sempre vissuto la scuola come una tortura. Vi direte che ero sicuramente una di quelle scarse che venivano bocciate, invece non lo ero affatto, ma se essere un po' intelligenti basta alle elementari, alle medie, e perfino al liceo classico, all'università questo non basta. Specialmente in una facoltà come ingegneria. Ci vuole spirito, forza d'animo, impegno e costanza. Tutte cose che io, lagnusa (per capire cosa significa leggere qui...) come sono, tendenzialmente non ho mai avuto. Almeno per lo studio. Al contrario, quando mi mettevo a fare qualcosa di pratico o lavorativo (venendo pagata, per quanto poco) davo il massimo di me. E' per questo che dopo 8 anni (si, avete letto bene) di vita sprecati a fare la triennale di ingegneria, quando mi è stato chiesto "ma fai la specialistica?" mi sono fatta una sana e grassa risata. E dopo un anno di lavoro e un gruzzoletto, ho fatto armi e bagagli e ho lasciato la mia città per Roma. 

Ad ogni modo, ripensando a questa carriera, ieri, mentre parlavo con la mia amica, ho dato le tre motivazioni per cui non sono riuscita a laurearmi in tempo. La prima, come detto su, è che ero fondamentalmente lagnusa. Il primo anno ho dato solo una materia e consideravo che bastasse leggere una pagina di un libro ogni tanto per prepararmi per gli altri esami: in pratica, ho preso un anno sabbatico, ma considerando che avevo fatto la primina, e quindi ero uscita dal classico con 18 anni freschissimi, mi sono detta che non era nulla di grave. La seconda è che avevo accanto una persona che anzichè invogliarmi e dirmi che ce la potevo fare, mi buttava giù. Essendo lui un fallito, non mi stupisce la cosa, adesso. Ma allora ero piccola, stupida, e pensavo che gli altri fossero tutti migliori di me. La terza, e soprattutto è stata la terza, ho beccato lo scoglio, e non sono riuscita a superarlo (per un sacco di tempo). Ed è questo scoglio l'argomento del post: il mio esame di matematica 1. Nelle altre facoltà conosciuta e nota come "analisi matematica 1". 



Mi ero incaponita a non voler andare dalla professa a ricevimento, perchè ero convinta che lei non mi facesse passare l'esame perchè a sua volta si era incaponita verso di me (ed un po' era vero). Ho dato l'esame così tante volte che ho perso il conto, disperatamente mi presentavo ad ogni appello finchè - avendo dato tutte le altre materie per cui questa non era propedeutica - ho pensato che non avrei più potuto continuare. Ho pensato di mandare tutto a fanculo, di buttare alle ortiche anni di fatica... e beh, ho pensato di fare qualsiasi cosa, piuttosto che continuare a provare a superare una cosa che non avrei mai potuto superare. Non mi importavano le suppliche di mia madre di tornare sui miei passi. Io, quando mi ci metto, sono più testarda di un mulo, motivo per cui quest'occasione fu una delle poche, forse l'unica occasione, in cui mia madre e mio padre si allearono alle mie spalle.

Mia madre convinse mio padre ad andare a parlare con la professoressa per capire quale fosse il problema, e, come quasi sempre accade, la professoressa cadde preda del fascino di mio padre, tant'è che non fu necessario usare - come preventivato nel caso in cui la mano buona di mio padre non avesse funzionato - quella cattiva (e non vi dico quanto cattiva) di mia madre. 

Così, presa alla sprovvista da mio padre che mi supplicò di non fargli fare una figura di merda con la professoressa, andai a ricevimento, ma non un paio di volte. Se dovevo fare una cosa di cui non avevo la minima voglia, la dovevo fare a modo mio e scassando i cabbasisi alla prof. il più possibile. Così mi presentai ogni giorno alle 9,00 nel suo studio per un mese di fila fino all'esame. Il giorno dell'esame il mio nome inizialmente non fu annoverato tra quelli che passarono. Dopo una pausa di circa un minuto, in cui io ero già morta, seppellita, col funerale fatto e l'epitaffio scritto sulla lastra di marmo, disse che ero passata anche io con QUASI SUFFICIENTE. Non potrò scordare mai la faccia che fece dicendo il mio nome in ritardo (e ve la lascio immaginare) 

Venne il giorno dell'orale, a Palermo soffiava il Phon. Il vento caldo e sabbioso del deserto. Di solito con 45 °C e il cielo giallo denso di sabbia, non si esce di casa. Io invece ero a sciogliermi e tremare al tempo stesso per fare il mio beneamato esame orale di matematica. Non ero mai arrivata a quel punto.

La professoressa mi chiese delle cose che era certa che io sapessi e poi guardò il mio libretto. Nel vedere il 30 in fisica 1, mi chiese se per caso ce l'avessi con lei per qualche motivo. La guardai con tanta voglia di ucciderla, ma dissi un diplomatico "ma no professoressa, affatto" e mi diede 24. Nel frattempo, a casa, mia madre aveva finito circa tre kg di ciliegie, facendosi venire un cagotto potente e trattenendo a stento l'infarto.

L'incubo era finito. Dopo quell'esame mi laureai, tesi compresa, in un anno e mezzo. Dando circa 10 materie nel tempo in cui non ne erano previste più di 7.

Ed ora faccio la segretaria, bella svolta, eh?

lunedì 11 dicembre 2017

Tutti i modi in cui ho rischiato la vita per prendere i mezzi pubblici

Molti pensano che prendere i mezzi pubblici sia una cosa normale, anche più sicura che andare in macchina, ma chi come me ogni giorno si ritrova nella giungla metropolitana, sa che sono innumerevoli le insidie che gli si presentano innanzi. Ho deciso quindi di stilare una classifica (una delle mie adorate classifiche) su i modi in cui, da quasi quattro anni a questa parte, ho rischiato di perdere la vita (io e chi era con me) più spesso, prendendo i mezzi pubblici di Roma, tralasciando ormai il consueto "allarme bomba" e "rischio attentato" che è diventato routine.




1) Un grande classico, non poteva che stare al primo posto: morire investita. Ma anche in questo caso ci sono diverse sottocategorie:
- investita da un autobus (che passa senza fermarsi o che parte senza che ti abbia visto supplicare in ginocchio davanti alla porta ormai chiusa);
- investita da un tram (che sfreccia a velocità sulle rotaie mentre tu le attraversi nel tentativo disperato di prendere la corsa anche se sei in ritardo);
- investita da una macchina (mentre ti butti in strada correndo disperatamente nel tentativo di raggiungere la fermata, prima che l'autobus riparta).

2) Morte per botta e trauma cranico. Va chiarito che le cadute possono avvenire per tanti motivi, ma principalmente il motivo della caduta è uno: corri per prendere l'autobus o il tram che tipicamente chiude le porte quando ti vede, inciampi e fai qualche passo in aria prima di precipitare nel vuoto (questa è la specialità di una mia amica, con cui condivido la sfiga dei mezzi pubblici). E' ancora viva, per inciso, ma non sappiamo come.

3) Morte per asfissia. Anche questo è un grande classico, un ever green, un old but gold e chi più ne ha più ne metta. Ma va precisato che il periodo più frequente per questa morte, non è - come spesso si pensa - l'estate, ma l'inverno. Quando all'esterno ci sono cinque gradi e ti copri come se stessi andando in Lapponia a portare a mano la lettera a Babbo Natale, e poi entri - quando va bene - sulla metro, dove il tuo è un minuscolo spazio vitale in cui in teoria non entrerebbe neanche ant-man, a circa diecimila gradi. Ma tu ci entri, fai amicizia, perchè a quella vicinanza con gli altri non ti restano molte alternative. O fai amicizia, o prendi a morsi la gente. E siccome la seconda mi fa molto schifo, mi limito a sorridere e chiedere scusa. E soprattutto, a sudare. Sudi, ti fai una sauna, dimagrisci dieci kg, giubbotto, maglione, canottiera e pelle diventano un unico indivisibile strato, così quando finisce quella sfrenata corsa, dopo diecimila crisi isteriche e tentativi di spaccare un vetro e fuggire, se sei ancora viva, arrivi al tipo di morte n. 4...

4) Morte per congestione. Perchè, come dicevo, arrivi che sei tutta sudata, che stai dentro un bagno turco a diecimila gradi, che la tua pelle non è più semplicemente pelle, e quando scendi fuori, ci sono gli adorabili 5°C della partenza, che allora ti sembravano insopportabili, mentre adesso li accogli come un norvegese che va in Sicilia a Novembre. Giubotto aperto, sciarpa tolta, mento alto per fare entrare bene gli spifferi, e ti ritrovi in poco meno di 10 minuti, senza voce, col mal di pancia, probabilmente il cagotto e se tutto va bene, un febbrone da cavallo che i 40°C sono per principianti.

5) Morte per decapitazione, amputazione, etc. Questa credo sia una di quelle morti che almeno una, due volte, abbiano rischiato tutti quelli che si muovono usando i mezzi pubblici. Soprattutto quando i mezzi sono pieni, che lo spazio vitale, non è affatto vitale. E' un loculo dove ci entrano si e no le ceneri. Resta sempre fuori un braccio, una gamba, la testa. Oppure si corre e si prende il mezzo mentre le porte si stanno chiudendo. Quest'ultima cosa, in particolare, non la faccio più da quando è successo il tragico incidente nella metro alla signora Natalya Garcovic (qui per leggere la notizia), che però dimostra che ho ragione e che questa è una delle cause di morte sui mezzi pubblici (la signora per fortuna non è morta, ma è viva per miracolo ed è stata gravemente ferita, con fratture multiple che l'hanno portata sulla sedia a rotelle. N.d.a.).

6) Dulcis in fundo: omicidio. Il modo più certo per morire sui mezzi pubblici, è essere ucciso da qualcun altro. Ultimamente l'odio verso chiunque, verso chi spinge, verso chi sale prima, verso chi scende piano o si mette davanti alla porta pur non dovendo scendere non facendo salire sull'autobus anche se dietro l'autobus è vuoto, sta dilagando e contagiando il mondo. Personalmente credo che prima o poi ucciderò quelli che mi alitano addosso, o quelli che mi spingono senza neanche chiedere permesso, o, ancora di più non si spostano quando sono io a chiedere permesso, quindi sappiate che, se non sarò io a morire, sicuramente finirò in prigione.

E ricordate che se avete rischiato la vita in altri modi che non sono questi, potete farmelo sapere e io avrò cura di ampliare la classifica (ma mi auguro per voi che non sia così).




giovedì 7 dicembre 2017

Dicembre: com'era e com'è.

Dicembre, come giugno, è sempre stato un mese piacevole, almeno per me. Io ho sempre amato il Natale, le feste più in generale. In Sicilia, del resto, Natale dura dalla vigilia dell'Immacolata - oggi - al 6 gennaio. Dal 7 Dicembre si da inizio alle danze, ci si siede a tavola e non ci si alza più. Poi c'è il 13 Dicembre. Quanto mi manca il 13 Dicembre, Santa Lucia. Ogni mattina del 13 mia madre si alzava presto, andava dalla nonna e prendeva la cuccia per tutti, cuccia di cui io puntualmente mangiavo solo il cioccolato fondente a pezzi sopra, lasciando tutto il resto. 


Per non parlare delle Arancine. Con l'A maiuscola, si. E soprattutto con la E finale, perchè, e so che quest'aspra diatriba non si chiuderà con il post che sto scrivendo, le arancine sono "fimmine" e non c'è obiezione che tenga. E soprattutto, nessuna arancina è buona come quella palermitana.
E anche a Palermo stesso, ci sono arancine e arancine, e tradizioni e tradizioni. Ad esempio, con mia madre è tradizione prendere le arancine allo Zodiaco, il bar storico del quartiere di mia nonna, anche se ogni anno ci troviamo un difetto nuovo. Con mio padre, invece, è tradizione prendere le arancine al bar Alba, che non credo abbia rivali purtroppo. Poi ci sono i fan dell'arancina bomba del bar touring. Io credo che potrei morire con un'arancina di mezzo kg, ma c'è chi ce la fa e a loro va tutta la mia stima. 
In tutto questo, siamo solo al 13 dicembre, non siamo neanche a metà del percorso, e io, normalmente, avevo già preso 15 kg.


Quest'anno siamo al 7. Anzichè festeggiare e abbuffarmi da qualche parte sono sola con il mio fidanzato nella nostra casa di campagna. Ho un bel camino acceso, la tv che fa da sottofondo, ed io sono felice perchè finalmente riesco a scrivere. Non c'è male, vi direte, e me lo dico anche io. Ma il punto non è oggi, il punto è dicembre, il punto è che non è lo stesso, che il 13 mangerò di tutto, senza rispettare la tradizione, non mangerò 86 arancine fino a scoppiare e probabilmente non perderò 10 euro giocando a 7 e mezzo coi miei cugini.

Andrebbe bene lo stesso, anzi, per certi versi sarebbe pure meglio questo dicembre qui, a Roma. Non ingrasso, ho una casa stupenda in campagna dove ritemprare anima e corpo e soprattutto, sto con il mio amatissimo fidanzato. E' bellissimo, si. 

Però, da quando lavoro, dicembre è diventato il mese più incasinato del mondo. C'è la chiusura d'anno, ci sono i data base da aggiornare, gli automatismi da cambiare, le lettere di auguri da trasmettere agli associati, i regali di auguri da fare ai colleghi, agli amici, ai parenti, all'esecutivo e così via. Questo oltre al lavoro ordinario. E quindi non ho un attimo di respiro e quello che normalmente è stressante, diventa di improvviso un inferno. 

Inoltre probabilmente ero un ghiro in un'altra vita. O un'orsa. D'inverno io vorrei andare in letargo sotto il piumone e uscire solo quando la temperatura esterna è di nuovo come minimo pari a 20°. Invece no, mi devo alzare alle 7,00 del mattino, con una bellissima temperatura di 2° circa. Così, quando mi lamento con mia madre, lei mi risponde che a Palermo ci sono 16 gradi e le è pure spuntato un fico d'india in terrazza... e io vorrei urlare!



Insomma, per farla breve...dicembre non è più tra i miei mesi preferiti, anzi, è tra i mesi più stressanti, però amo il Natale, amo le feste, amo il cibo e le lucine colorate, amo fare i regali ai miei amici, parenti e al mio fidanzato e questo, certamente, non cambierà mai. Inoltre quest'anno dovrei avere un regalo tutto speciale che ancora non dico per scaramanzia. Quindi, aspettate, perchè avrò per voi altre notizie.
E nel frattempo, forza TEAMPANDORO!