venerdì 29 maggio 2015

Sono caciaroni questi romani...


Ormai sono otto mesi che vivo qui a Roma e per quanto non mi piaccia fare di tutta l'erba un fascio, è innegabile che i romani, come ogni altro popolo, ha le sue innate ed indiscutibili caratteristiche, che li rendono riconoscibili ovunque nel mondo. Oggi stilerò una piccola classifica, mi farete sapere se vi ritroverete in queste caratteristiche o meno:
 
  • I romani sono amici del mondo, non hanno colleghi di lavoro, universitari, conoscenti, etc... loro hanno gli amici. Avete mai sentito dire ad un romano "c'avevo un collega che..."? No, mai. Ve l'assicuro. Al massimo gli avrete sentito dire "c'avevo n'amico che..."



  • I romani amano offendersi tra loro, lo fanno con naturalezza e tranquillità, senza pensare a chi si ha di fronte. A Palermo, una cosa del genere, è assolutamente impensabile. Non offenderesti mai gratuitamente qualcuno in un'altra macchina, senza aspettarti, quanto meno, che poi quello freni bruscamente, scenda dalla macchina e venga a cercare di fracassarti di legnate. A Roma non capita quasi mai, a Roma amano offendere l'anima dei morti, proprio lo adorano, si imbruttiscono, si puntano fronte contro fronte, ma difficilmente arrivano alle mani.


  • I romani non sopportano i napoletani. Loro fanno la pizza più buona, il cibo più buono e hanno il dialetto più simpatico. I napoletani urtano il loro sistema nervoso. Ancora meno, sopportano i milanesi, quel "neh" lo strapperebbero via a morsi dalla loro lingua.



  • I romani, se hanno un problema, devono gridarlo: inizialmente pensavo fossero solo i pazzi a farlo, ma ad un certo punto ho capito che il romano D.O.P. ha una certa soglia, oltre la quale, pur provenendo dagli ambienti della Roma Bene, diventa coatto e comincia a gridare. Grida al cielo, lamentandosi di non si sa quale dramma esistenziale, lo grida a squarciagola finchè tutto il quartiere, ma anche tutta la città, non lo ha sentito ed ha preso parte al suo dolore. 



  • Il romano, se perde la Roma (A.S.), si incazza. Ma non del tipo: "che rabbia, ha perso la mia squadra del cuore", quanto piuttosto del tipo: "li mortacci tua, de tua sorella e de quella mignotta de tu madre, ha perso la Roma e oggi nun me devi popo rompe er cazzo" e la persona a cui lo stanno dicendo è il loro capoufficio.
 
Per il resto, sui romani ci sono tanti, ma tantissimi luoghi comuni, molti sono abbastanza divertenti, molti altri delle vere assurdità. Dal canto mio posso dirvi solo che a me i romani piacciono e d'altra parte, come potrebbe essere altrimenti, visto che il mio cuore appartiene ad uno di loro?

 

giovedì 28 maggio 2015

Il club del libro..

 
Vorrei iniziare questo post facendo una piccola premessa: io ammiro molto le persone che leggono. La lettura è nutrimento per la mente e stimola davvero il pensiero, aprendo il nostro mondo. Ammiro le persone che leggono perché io non sono una grande lettrice, non ho tanta pazienza e se il libro non è scritto bene, o non mi intriga alla seconda pagina, non riesco ad andare avanti. Alcuni dicono: "eh, ma devi dargli tempo"... ma anche no. Non credo di dover dare tempo anche ad un libro. Le descrizioni esagerate mi annoiano, ma ci sono anche quelli che le amano, e questi, appunto, li ammiro. Tuttavia ci sono lettori, a cui i libri, anziché aprire la mente, gliela chiudono del tutto rendendoli quasi cerebrolesi. Sono quelli per cui la lettura è diventata uno scopo di vita, quasi fosse un lavoro, e non possono interrompere mai, nemmeno sui mezzi pubblici. Per carità, quando c'è posto a sedere, non c'è nulla meglio di un buon libro, anche se io spesso non riesco visto che soffro di mal d'auto e il movimento mi da la nausea, ma per chi ci riesce, tanto di cappello. Tuttavia ci sono dei momenti in cui leggere non è proprio possibile, così come non è possibile usare il cellulare o il kindle. Ed è la maggior parte delle volte in vero: sul tram, sull'autobus, ma anche sulla metro, quasi sempre, c'è un casino tale da fare sembrare noi delle bestie e il mezzo, pari ad un carro bestiame. In questo marasma, io sto per lo più attenta al fatto che non mi rubino il portafogli o il cellulare, o, ancora più importante, a non cadere, laddove a volte non c'è neanche modo di aggrapparsi da qualche parte. Ma, anche in quella situazione di tremendo panico, dove lo schifo si impossessa di me, facendomi stare in un'espressione di costante disgusto che si acuisce non appena qualcuno mi sfiora, c'è sempre qualcuno che legge. Con una sola mano, con l'altra attaccata chissà dove, sfogliando le pagine con le labbra, ma l'importante è che leggano... io capisco che il libro possa essere entusiasmante, che si voglia sapere che fine farà Mr Darcy, ma sembro strana se penso che non muoia nessuno se si continua a leggere non appena si esce dal limbo infernale del mezzo pubblico? Io non credo, e la cosa che più mi fa rabbia è che poi, alla prima frenata brusca del conducente, che capita sempre in questi casi, il libro me lo ritrovo io, spiaccicato in faccia e il lettore, o la lettrice che sia, me la ritrovo addosso coi suoi piedi sui miei...e allora, scusate, ma li si che m'incazzo, perché Mr Darcy non vale il mio ditone, né la mia faccia.
 
 

venerdì 22 maggio 2015

Quando fuori piove...

Bastano due sole gocce di pioggia per fare impazzire una intera città. Chi non lo sa? Non appena piove un po', ogni persona abbandona scooter e biciclette e si infila in macchina, o, peggio, sui mezzi pubblici, che, quando piove, diventano veramente impraticabili.
La stazione metropolitana in un primo momento ti sembra l'ancora di salvezza in mezzo all'inferno del diluvio e del traffico, ma dopo che entri, ti accorgi che non è altro che un nuovo girone. I pavimenti di gomma si sollevano, gonfi d'acqua. Si creano pozzanghere che tu neanche vedi e che, irrimediabilmente, ti travolgono come un fiume in piena, la gente che scende e sale ti sbatte addosso coi loro enormi ombrelli e ogni pavimento diventa tremendamente scivoloso. Per una sbadata e maldestra come me, è praticamente un gioco con la morte.
Ma c'è di peggio, perché, se almeno dentro la metropolitana sei al chiuso, fuori, alle fermate, è il caos più totale: c'è gente ovunque, i mezzi sono pieni e lo spazio è davvero ridotto. Rischi di essere accecata continuamente da stecche di ombrelli e di essere travolta da onde anomale create dalle macchine, che sembrano non accorgersi affatto che tu sei li, in bilico tra il marciapiede e la strada.
Tuttavia, in questo caos infernale, c'è logica: piove, la gente cerca riparo. Quello che non capisco è come mai, in questi giorni in cui Zeus ha deciso di fare le pulizie in tutto l'Olimpo, tutti i vecchietti, anche quelli decrepiti o che camminano con la stampella e il catetere attaccato, decidono di uscire di casa a farsi una passeggiata. Chi a piedi, chi in macchina. Un po' come la pubblicità degli assorbenti, quando le tizie decidono di fare free climbing e paracadutismo proprio nei 5 giorni più intensi di ciclo, e rigorosamente coi pantaloni bianchi. E' un'assurdità nel senso più letterale del termine e la cosa non mi da pace, perché poi, sempre perché io, sui mezzi, sono estremamente "fortunata", li becco tutti io. Davanti, quando devo scendere per cambiare mezzo e sto per perderlo. Dietro, quando non devo scendere e loro invece vogliono e devono passare a tutti i costi, anche solo per fare mezzo centimetro di spostamento.
I giorni di pioggia sono giorni di panico per chi, come me, è costretto a prendere i mezzi pubblici per arrivare a lavoro. E, a lavoro, si arriva sempre e comunque in ritardo, meglio mettersi l'anima in pace. I vecchietti invece, sembrano diventare allegri e arzilli quando piove, tanto da voler uscire, fregandosene del fatto che sono cagionevoli e rischiano di beccarsi una broncopolmonite. No, loro vogliono uscire... in fondo penso lo facciano apposta per rompere i coglioni a me, ma poi, se ci rifletto bene mi ricordo che anche mia nonna adora pulire il terrazzo davanti casa in sottana quando fuori diluvia, quindi non lo so...forse ad una certa età, ami le sfide.
 
 
 

giovedì 21 maggio 2015

Quello che non sopporto. 3.

Eccomi con una nuova puntata della vostra (ma anche della mia) rubrica preferita. Oggi mi concentrerò sull'essere umano, e, in particolare, sull'emisfero femminile dell'umanità. E su questo argomento le cose che non sopporto sono tantissime, per questo non perdo altro tempo e parto, come di consueto, a ruota libera: non sopporto quelle che rubano le idee delle altre, fingendo una personalità che in realtà non hanno. Non sopporto quelle che si mostrano tanto per bene e poi si scopano pure i muri. Non sopporto quelle che si fotografano pure quando vanno al cesso mettendo le labbra a buco di culo, oppure quelle che si fanno i selfie mettendo fuori la punta della lingua. Non sopporto quelle che mettono la matita per le labbra un centimetro sopra il bordo delle labbra stesse. Non sopporto quelle che si mettono i leggins color carne, soprattutto se pesano 10 volte un mammut. Non sopporto quelle che si mettono gli occhialoni da vista pur vedendoci benissimo perché va di moda così. Non sopporto quelle che si lamentano del fidanzato stronzo e però quando si pone la questione del lasciarlo dicono "ma io lo amo". Non sopporto quelle che si fanno ricostruire le unghie mettendosi dieci centimetri di artiglio che non permette loro neanche  di aggiustarsi gli occhiali senza cavarsi un occhio. Non sopporto le tizie che si truccano in macchina mentre guidano non capendo l'utilità dello specchietto retrovisore!! Non serve mica a truccarsi quello! E poi ancora meno sopporto quelle che mettono il rossetto/burrocacao muovendo solo le labbra e tenendo invece fermo l'astuccio. Ma perché!? Che fate pure delle smorfie assurde che vi fanno apparire tremendamente brutte. Non sopporto le bionde sui suv, soprattutto le bionde sui suv che per prendere i figli a scuola lasciano la macchina in doppia fila come se fosse uno scooter che non occupa affatto la carreggiata.
Sostanzialmente sono intollerante verso gran parte dell'universo femminile, e la verità è che sarei voluta nascere maschio e gay, però ci sono delle eccezioni: la mia mamma, mia nonna, le mie zie e le mie poche, ma carissime, amiche (cugine comprese), loro le amo, anche con le cose che non sopporto.  
 
 

sabato 16 maggio 2015

Quello che non sopporto... 2° puntata!


La rubrica ha avuto abbastanza successo e dunque, ringraziando chi ha commentato ispirandomi e invitandomi a continuare, come di consueto, vado a ruota libera, dicendo quello che non sopporto. E comincio con quello che non sopportano neanche loro: non sopportiamo quelli che, pur essendo completi sconosciuti, perlopiù anziani, danno luogo ad imbarazzanti discussioni sulla politica senza possedere la benché minima conoscenza di diritto o economia. Spesso senza conoscere neppure l'attualità. Non sopportiamo quelli che, pulendo la macchina, tirano fuori cartacce e cd dal finestrino della macchina, sentendosi perfino soddisfatti del loro operato.
Non sopporto quelli che "ah io non sono razzista, ma con un nero, mai", e neanche quelli "ah io non sono omofobo, ma due uomini assieme...che schifo". Non sopporto quelli che fanno di tutta l'erba un fascio, quelli che non sanno distinguere il singolo dalla massa. Non sopporto quelli che ti giudicano dal segno zodiacale, o semplicemente dal nome. 
Non sopporto quelli che quando gli parli, muovono le labbra come se parlasserlo loro, provando a riprendere le tue parole. E' una cosa che proprio non sopporto e allo stesso tempo, mi sono sempre chiesta perchè lo facciano. 
Non sopporto quelli che fischiettano, neanche quelli che canticchiano a labbra chiuse. Non sopporto quelli con il respiro fischiato, ma per questi ultimi in effetti mi sento un pò in colpa, perchè spesso è qualche patologia, e non è colpa loro. 
Non sopporto quelli che ti mandano le catene di sant'antonio su whatsapp, soprattutto quelli con il fantomatico bollino blu che diventa verde se condividi. Non li sopporto perchè molti di loro non lo fanno semplicemente per rompere i coglioni, ma perchè realmente ci credono, e questa è gente che poi va a votare. Non sopporto quelli che fanno i giochini su facebook, e pretendono che tu continui il loro giochino se no si offendono. Non sopporto le persone fissate con un argomento, che qualsiasi cosa dici loro, trovano un attinenza e tornano a parlare di ciò di cui sono fissati, soprattutto, tra questi non sopporto le donne incinte che parlano solo di gravidanza e allattamento, e quelli fissati col calcio. Non sopporto i tifosi sfegatati che impazziscono a guardare undici coglioni plurimiliardari che inseguono una palla e, chi se ne frega se ci tolgono la libertà, chi se ne frega se sono morte persone per il derby, l'importante è che non mi togliete la champions league. 
E non sopporto avere sonno, quindi, questo mio post serale, finisce con una sacrosanta buonanotte. 


venerdì 15 maggio 2015

Il mio primo vero sciopero...

 
 
 
Da quando sono arrivata a Roma ne ho visti un paio. A quanto pare gli scioperi dei mezzi pubblici sono più puntuali dei treni stessi, ogni due/tre settimane ne fanno uno. Tuttavia quasi sempre sono pochi i mezzi soppressi, e si riesce a muoversi lo stesso, soprattutto la mattina e non nelle ore di punta. Anzi, nei due scioperi che ho vissuto, ho potuto appurare come ci fosse casino per strada e pace sui mezzi pubblici, e ho goduto.
Oggi però è stato diverso. Arrivo alla prima fermata e il primo tram passa subito. Tra me e me ho pensato che, come al solito, era un allarmismo inutile. Quindi arrivo alla seconda fermata, e inizio ad aspettare l'autobus. Passano 10 minuti...autobus fuori servizio numero uno. Altri 10 minuti e fuori servizio numero due. Ne vedo passare due nel verso opposto al mio, la speranza ritorna. Altri 15 minuti e finalmente passa il mio autobus. Salgo: mi aspettavo peggio, non c'era troppa confusione, forse perché tutti sapevano che la metropolitana era chiusa. Tutti, tranne me. Arrivo quindi a destinazione e comincia nuovamente a salire l'angoscia. Porte chiuse. Non restava che il tram, che fa un percorso lunghissimo, ma quanto meno arriva, o il taxi, che costa più della mia giornata di lavoro. Tram numero uno: fuori servizio. Tram numero due: deposito. Tram numero tre: parte! Dopo un'altra mezzora alla fermata del tram, in mezzo ad anche troppa folla, salgo sul tram e parto, consapevole che sarei arrivata a lavoro...con sole due ore e mezza di ritardo.
Quello che mi stupisce, in questi casi, non è tanto lo stress che si accumula tra la gente, che è normalissimo, quanto piuttosto il fatto che questo stress, che solitamente c'è e si sfoga con gli altri, spingendo, insultando, lamentandosi, correndo... in questi casi si sfoga mugugnando e tra coloro che sono in quel preciso istante coinvolti nello stesso destino si crea complicità, supporto, compagnia. Ci si aiuta con le informazioni, ci si consola sapendo che non si è soli a passare quella pena, ad aspettare, a perdere un appuntamento o una giornata di lavoro. L'essere umano è proprio una strana bestia.

giovedì 14 maggio 2015

Quello che non sopporto...

Lasciandomi ispirare dal film "un fidanzato per mia moglie" oggi inauguro una nuova rubrica: "quello che non sopporto..."
Ne avete già avuto un assaggio nei vecchi post dove periodicamente stilavo classifiche ma qui, stavolta, lasciandomi ispirare da ciò che mi ricorda, andrò a ruota libera, senza dare spiegazioni di sorta.
Ad esempio, non sopporto quelli che non portano la barba, ma si lasciano un triangolino di pelo nell'incavo tra labbro inferiore e mento. Che senso ha? Mi verrebbe voglia di staccarlo con un solo colpo di pinza. Oppure non sopporto quelli che scendono dall'autobus e anziché proseguire per fare scorrere il flusso, si fermano li, subito, a riflettere. Si guardano intorno, mani ai fianchi, con aria spaesata. Ma vi costa così tanto fermarvi a riflettere sul senso della vita qualche metro più in la? Poi non sopporto quelle coi ciuffi di capelli davanti agli occhi incastrati tra gli occhiali. Mi viene prurito, mi comincio a spostare i capelli io e non capisco come fanno a continuare a leggere senza scomporsi o infastidirsi minimamente. Non sopporto quelli con la pelata ed il codino, non sopporto quelli che masticano le chewin-gum con le labbra aperte e fanno i palloncini dentro la bocca.
Proprio non sopporto quelli che sbagliano il congiuntivo. Qualcuno mi ha detto "ma è normale sbagliarlo, è troppo difficile". Ma perché ? Il condizionale è facile? E poi, lo dice la parola stessa "condizionale", quindi che ce lo ficchi a fare in una ipotetica? Ok, lo ammetto: la lingua italiana è complicata, però dai, io amo il congiuntivo.
Non sopporto quelli che mettono le cuffie per ascoltare la musica, ma tengono un volume talmente alto che li senti pure se stai seduta fuori dall'autobus e ti sembra di stare in discoteca. A sto punto, mettila senza cuffie e balliamo tutti assieme, no?
Non sopporto la musica napoletana neomelodica, e ancora meno sopporto chi la ascolta e la canta, vantandosene.
Non sopporto le donne coi baffi o coi peli sotto le ascelle, proprio mi fanno sentire male e non sopporto quelli che ti dicono "se va avanti"...spingendo, quando davanti è palese che non puoi andare a meno che non fai anche tu la cafona e spingi. Ma a questi ultimi rispondo con facilità. Li faccio passare e gli dico "signora guardi, spinga lei la signora davanti, così se li prende lei gli insulti." Si, "signora", perché quasi sempre le più cafone sono proprio le donne, mentre nei maschi ho potuto notare ancora un certo livello di cavalleria, seppur non eccessivo, ma presente.
Non sopporto quelli che leggono bisbigliando. Perché devi bisbigliare? Le parole le vedi, a che serve ripeterle? A chi lo vuoi fare sentire?
Ma eccomi, sono arrivata a destinazione, ho smesso di guardarmi intorno e di avere fonti di ispirazione, quindi, alla prossima puntata.

martedì 12 maggio 2015

L'amore al tempo dei mezzi pubblici...

La ragazza sussurra all'auricolare, lamentandosi delle urla di lui, rimproverandogli un appuntamento mancato e chiudendo la telefonata bruscamente. Resta col broncio per tutto il pezzo di tragitto in cui ho la possibilità di vederla. A quel punto scendo, cambio bus, alla fermata c'è un uomo. Ha un vecchio cellulare, di quelli con lo schermo ancora in bianco e nero che non mandano neanche gli MMS, e si lamenta. Si lamenta con sua moglie, la rimprovera, la rimprovera perfino della sua stessa stanchezza. Io entro nelle loro vite solo per poco, perché poi il mio autobus passa. Salgo, mi siedo, di fronte a me un uomo sulla settantina, con cappello e un bel sorriso allegro sul volto. L'allegria nelle mattine in cui si va a lavorare, e soprattutto sui mezzi pubblici, è cosa rara, la trovo nelle scolaresche, ma mi irritano, la trovo negli innamorati, ma quando cominciano a baciarsi producendo rumori salivari, il mio fastidio diventa eccessivo e sono costretta ad andarmene. Così, di rado, la trovo in un uomo che non mi dia fastidio, e, in lui, non mi dava fastidio. Prende il telefono, risponde, è la moglie. Il sorriso, stranamente, non muore. Lui alza la voce. Si, è un po' irritante quel suo urlare, ma, d'altra parte, l'autobus sembra volersi del tutto smontare, i pezzi sbattono tra loro con una tale forza e producendo un tale casino, che sembra impossibile che restino attaccati e non ci crollino addosso.
In qualche modo, quindi, deve pur farsi sentire. E' ammissibile che sia un po' sordo, vista l'età, ma questo non lo demoralizza, lui urla il suo amore, dice alla donna che ama di stare serena, che sta sull'autobus e che, di qualsiasi cosa si trattasse, sarebbe andato tutto bene. La consola, la rassicura... non avevo nulla da dire, un uomo sereno che ama la moglie, nonostante l'età; mi fa sorridere, mi rende compiaciuta, ma poi mi rabbuio; penso che magari non ho capito nulla, magari è un bastardo al telefono con l'amante più giovane. Ma no, il mio istinto mi dice di no, la sua faccia non era quella di un uomo che stava commettendo un misfatto, era quella di un uomo sereno, gradevole, in pace col mondo al punto che non sapeva neanche che autobus avesse preso. Me lo domanda e poi torna al telefono. Continuo ad ascoltarlo, seppur il mio capo sia chino su un libro, ma ad un certo punto sobbalzo, sono costretta a sollevare il viso, per brevi secondi, un attimo, perché non voglio imbarazzarlo, voglio che continui: lui canta. "Dammi il tuo amore, non chiedermi niente e dimmi che, hai bisogno di me. Tu sei sempre mia, anche quando vado via, tu sei l'unica donna per me". Gliela canta tutta, e solo dopo, soddisfatto, con un ampio sorriso sulle labbra, si alza e se ne va. Nessuna vergogna ho potuto scorgere in lui. Il coraggio di amare a voce alta. Meraviglioso. Con quella poca dose di allegria, in un mattino caldo e nevrotico, sono andata avanti, scesa dall'autobus ed entrata in metropolitana. Riesco a sedermi, non troppo dopo essere salita, e mi posso godere ciò che mi capita intorno. Vociare lento, sommesso, nessuno che urla. Com'è possibile? In verità, nulla di strano, quando l'età scende, la voce diminuisce e a muoversi sono le dita. L'amore, i tradimenti, avvengono tramite messaggio. Così vedo lei sorridere mentre scrive, butto l'occhio alla mia sinistra, ma non riesco a leggere, vedo un cuoricino, poi cambia chat, il viso cambia, la velocità con cui scrive cambia, uno dei due era il suo amore, l'altro sicuramente il suo peso.
Perché gli esseri umani si complichino così tanto la vita non lo capirò mai. Perché non seguire semplicemente il cuore invece di soffrire e far soffrire gli altri? Esco.
Mi passano accanto come una furia, riesco a mala pena ad accorgermene, poi guardo in avanti. Lui, alto e slanciato, la insegue, lei, bassa e bruttina, fugge. L'amore è proprio cieco e, a volte, anche parecchio stronzo. Chissà che aveva combinato lui, ma a noi donne piace essere inseguite, solo che in una metropolitana si rischia di sfuggire per l'ultima volta. E l'amore, in questo caso, diventa stupidità.

 

giovedì 7 maggio 2015

Pensieri...e "Anima".

No, lo so che avete pensato che avessi dimenticato di avere un blog, ma no, non l'ho fatto ed adesso sono di nuovo qui, tornata a scrivere per me, ma anche per voi.
In realtà avevo molte avventure in sospeso da raccontarvi ma oggi mi sento un po' malinconica e così ho deciso di buttare giù qualcosa di getto.
Come un po' di getto scorrono i pensieri quando si è fermi su un tram, in piedi, schiacciati, e, dunque, altro non si può fare che guardare le facce di quelli che sono sul mezzo con te, o, laddove possibile, guardare l'esterno e riflettere, meditare, perdersi nei propri pensieri e stati d'animo.
In questi giorni Roma è caldissima, è arrivato il maggio tanto famoso della città eterna, ed è rovente. E per chi prende i mezzi pubblici nell'ora di punta, questo è un dramma: si vive un calvario ogni giorno. L'aria condizionata ancora non è accesa ovunque e la gente comincia a sudare e puzzare tremendamente, soprattutto di ritorno, a fine giornata di lavoro.
Così, quando non si riesce a trovare un posto a sedere per leggere e neanche modo per stare al cellulare, visto che spesso sul tram si viene sballottati alla velocità della luce, per cui bisogna trovare appiglio con entrambe le mani, l'unica cosa che resta da fare è pensare, si pensa a tutto, si pensa alla somiglianza della gente che si incontra per caso, con gente che si è già conosciuto. Si pensa alla bruttezza dei capelli di un tizio, o a quanto sia terribile l'azzurro accoppiato col rosso arancio. Si pensa a come ci sarebbe piaciuto dormire un'altra oretta, e a quanta fatica stia facendo il nostro corpo in quel momento a mantenersi eretto in piedi.
L'ideale, è quando, seppur in piedi, seppur schiacciata, sul vecchio tram del 15-18 che gira ancora a Roma nella zona in cui lavoro, si riesce a trovare posto vicino al finestrino aperto. Che beatitudine sentire l'aria fresca e veloce che entra e ti rigenera, ti sveglia. Che bello anche guardare l'esterno, il movimento delle persone, immaginare dove stiano andando, se si sono mai chiesti cosa fanno gli altri che camminano intorno a loro. Guardare i posti, i palazzi, le case, i monumenti. Ogni cosa che ci circonda.
Siamo così egoisti nella nostra vita, capita di rado che qualcuno si fermi e si chieda cosa fanno gli altri. Sul tram invece, o su qualsiasi altro mezzo pubblico, quest'egoismo cessa, perché non si può fare a meno di guardarsi l'un l'altro o di guardare tutto intorno a noi, di sentire se qualcuno chiacchera, di spiare la lettura del proprio vicino di posto, e, da quella, dedurre tantissime cose su chi ci siede accanto. Non si può fare a meno di interessarci, per quel breve periodo, alla vita degli altri, e, in quel momento, in quel posto, renderci conto che siamo tutti uguali.
Salire su un mezzo pubblico ci rende tutti uguali, non ci sono più ricchi, poveri, borghesi... siamo tutti uguali, tutti della stessa terra, della stessa specie (si c'è chi è più pulito, più intelligente, più stronzo, ma nasciamo tutti con gli stessi diritti e questo ci rende uguali, nessuno migliore di nessun altro), tutti vicini e obbligatoriamente legati per breve dallo stesso destino. Quel legame si spezza quando si scende, ma a volte si ripropone. Perché a volte si rincontrano le stesse persone, quando si fa sempre lo stesso percorso. Ci si abitua a quei visi, diventano quasi parte della propria quotidianità, al punto che se smettono di apparire ci chiediamo che fine hanno fatto. Sui mezzi pubblici non esistono categorie, si entra a far parte di un unico mini globo che ci rende tutti amici, tutti complici, partecipi gli uni delle vite degli altri. 
Se ve lo state chiedendo, no, non mi sono fatta una canna prima di scrivere, è solo che oggi mi sento così, un po' filosofica. Sarà il libro che sto leggendo, "Anima" di wajdi mouawad, che tra l'altro consiglio a tutti coloro che hanno una particolare sensibilità. E' la storia di un uomo a cui viene brutalmente uccisa la moglie, raccontata dagli animali che incrociano il suo cammino. Credetemi, vi cambia.
E dopo questo minispot, vi saluto, lasciandovi alle vostre riflessioni.